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idealizzazione

ho passato tutta la vita a idealizzare i miei genitori.
ho dovuto farlo,
per forza.

pensavo che il mio valore dipendesse dal loro valore,
che non fossi qualcosa di separato,
ma una parte inclusa in loro,
e per questo ho sempre raccontato di loro
in maniera estremamente positiva,
esagerandone i pregi,
nascondendo accuratamente ogni difetto.

questo raccontare che persone meravigliose fossero,
questo enfatizzare le loro caratteristiche più vendibili,
mi ha aiutato per un po’,
mi ha fatto sentire speciale, importante,
mi ha dato un senso di appartenenza
a qualcosa che sembrava più grande, più bello.

ma poi, a un certo punto,
ho iniziato a non vedere più con lucidità
da dove venivo davvero.
il racconto che avevo costruito nella mia testa
non combaciava affatto con la realtà,
e questa discrepanza
mi ha spinta a voler scappare sempre di più
dalle mie origini,
a rigettarle, a provare frustrazione, dolore, rabbia
ogni volta che tornavo in quei luoghi,
in quei rari momenti di connessione.

oggi penso che forse,
se fossi stata più sincera,
se avessi avuto il coraggio
di raccontare come stavano davvero le cose,
di guardare in faccia i difetti, le mancanze,
i vuoti e il dolore,
magari non avrei provato così tanta frustrazione,
così tanto rigetto
quando finalmente mi sono trovata faccia a faccia
con la realtà delle cose.

forse avrei fatto pace prima
con chi ero davvero,
e avrei capito più in fretta
che il mio valore non era mai stato legato al loro,
che ero speciale
a prescindere
da ogni racconto perfetto.

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