Che qualcosa in te non andasse, io lo sapevo già. Sapevo che mi avresti tradita, ferita, umiliata. E ti ho lasciato fare.
Sapevo perfino che avresti portato un’altra nel nostro letto, nel nostro ristorante, che avrebbe mangiato dai piatti che avevo comprato io, bevuto dai nostri bicchieri, mangiato nella nostra casa e messo le mani nei mobili che avevamo montato insieme.
E sapevo che lo avresti fatto subito, mentre ancora c’era il mio odore sulle lenzuola.
Lo sapevo. Eppure quella vaga speranza che non sarebbe accaduto mi ha tenuto incollata a te, ai tuoi modi, alle tue bugie, al tuo buon odore.
Quanti schiaffi in viso, metaforici s’intende, ma non per questo meno dolorosi, meno veri.
L’idea di lei che ti tocca, che ti fa godere, che ti fa ridere, che ti fa sentire bello e amato, mi uccide. Mi uccide ma respiro ancora, sebbene una parte di me vorrebbe smettere di farlo.
E invece respiro. A pieni polmoni, come mi consiglierebbe la mia psicoterapeuta. Respiro e volto pagina. Un po’ alla volta, dopo aver superato il dolore, da cui prima mi lascio attraversare.
Non so bene per quanti giorni durerà, ma io sono qui e me lo godo tutto.
Addio.
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