
Scrivere mi stanca. Mi affatica. Mi toglie ogni briciolo di energia, ogni granello di forza che ho nel corpo… e nella mente; e nel cuore.
Quello poi, il mio cuore è sempre sballottato di qua e di là e più batte forte, meglio scrivo. Più si affatica lui, meglio scrivo io. E più questo accade, più il mio intero essere è affaticato dallo scrivere.
Scrivere per me è spossante perché quando scrivo è come se lo facessi con il sangue invece che con l’inchiostro. È come se ogni tasto sullo schermo fosse composto dalle basi azotate del mio dna invece che da un codice numerico freddo e inanimato.
Forse è per questo che subito dopo aver scritto ho bisogno di riposo. Di silenzio.
Scrivere m’affatica e non farlo mi uccide. Mi toglie la voglia di amare, di vestirmi bene, di essere di buon umore e di sorridere alle persone che amo e anche a quelle che amo meno.
Scrivere mi permette di liberarmi delle mie tristezze, come se imprimerle su un foglio significasse fare in modo che non m’appartengano più. Non sono più cosa mia.
Scrivere per me significa anche amare di più. E rendere eterno ogni amore che ho. Che ho avuto. Ogni amore di cui ho scritto.
Scrivere è anche mettere un freno alla mia eccessiva emotività. Perché le mie emozioni sono troppe e troppo forti da gestire per una così fragile. Allora scrivo quando non riesco più a farle stare buone; quando non le reggo più.
A quel punto chiedo al foglio di prendersene un po’. Di tenerle con sé che io da sola non ce la faccio proprio.
Ma il foglio mica può reggerle per sempre. Così quel pesante bagaglio di emozioni viene distribuito a chi decide di leggerle. Di scovarle.
Non a tutti.
Scrivere m’affatica. Non farlo mi uccide.
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