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Netanyahu, abbiamo tutti bisogno di terapia ma tu un po’ di più

Oggi avevo tutte le intenzioni di scrivere qualcosa di profondo sulle relazioni adulte.
Quelle cose complesse dove due persone arrivano con un bagaglio emotivo così pesante che Ryanair farebbe pagare un supplemento. Quelle situazioni in cui ogni parola è una mina vagante e ogni silenzio diventa un thriller psicologico.

Insomma, stavo proprio riflettendo sul fatto che essere incasinati non è un crimine.
Che portarsi dietro traumi e cicatrici emotive fa parte del gioco.
Che forse, tutto sommato, dovremmo imparare a essere più comprensivi con le nevrosi reciproche.

Poi arriva Netanyahu e decide che siccome il suo popolo ha sofferto tanto allora adesso può bombardare altra gente, a caso. Così, perché “abbiamo sofferto e adesso è il nostro turno”.

Beh, caro Netanyahu, no. Non funziona così.
Il dolore del passato non è una tessera punti da riscattare in violenza presente.
Essere vittime non autorizza a diventare carnefici.
Sennò qui facciamo a gara a chi ha sofferto di più per giustificare ogni nefandezza futura, e ciao civiltà.

Ripeti insieme a me:
i traumi non sono giustificazioni, sono cose da curare.
I traumi non sono licenze per ferire, sono cose da risolvere.
Il trauma non è una scusa universale per le proprie scelte del presente, è una responsabilità personale di cui farsi carico.

La verità cruda (che forse Netanyahu non vuole sentire) è che siamo tutti incasinati, traumatizzati, e con qualche mostro nell’armadio.
Ma fare del male agli altri perché siamo stati feriti noi è patetico, pericoloso e infantile. Non è forza, non è giustizia, è soltanto vendetta.

Forse basterebbe riconoscere che sì, abbiamo sofferto tutti. Ma la differenza tra chi cresce e chi no è proprio questa:
usare i propri traumi come occasione per guarire, non come alibi per ferire.

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