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l’arte di mettersi nei panni degli altri

Da quando sono bambina mi hanno insegnato che mettersi nei panni degli altri è una virtù. Anzi, la virtù. Quella che ti rende una brava persona, quella che separa i buoni dai cattivi, quella che fa di te qualcuno di cui essere orgogliosi.

E per anni ci ho creduto ciecamente, come si crede alle favole quando si è piccoli. Ho indossato scarpe troppo strette, giacche troppo larghe, vestiti che puzzavano di vite che non erano la mia. Ho camminato con i piedi sanguinanti in nome dell’empatia, convinta che il dolore fosse il prezzo da pagare per essere davvero umana.

Perché l’empatia è bella, è necessaria, è quello che ci impedisce di diventare mostri. Ti permette di guardare il mondo attraverso occhi che non sono i tuoi, di sentire battere cuori che non ti appartengono, di capire storie che non hai mai vissuto. Ti rende più grande, più saggia, più viva.

Ma poi, un giorno, ti accorgi che mentre stai così bene negli abiti degli altri, hai completamente dimenticato che taglia porti tu.

Ti ritrovi persa in un guardaroba che non ti appartiene, a disagio nella tua stessa pelle, incapace di riconoscere la tua voce in mezzo a tutti i cori che hai imparato a cantare. E ti chiedi: quando è che comprendere è diventato sparire?

Perché c’è una linea sottile, quasi invisibile, tra l’empatia e l’autoannullamento. Una linea che molti di noi attraversano senza nemmeno accorgersene, convincendosi che dall’altra parte ci sia la vera bontà, quando invece c’è solo un dolce suicidio emotivo.

La verità scomoda è questa: puoi capire profondamente qualcuno senza dover per forza accettare tutto quello che fa. Puoi sentire le sue paure, toccare le sue ferite, abbracciare i suoi dubbi, e comunque dire: “Ti capisco, ma questo non è quello che voglio io.”

Non è egoismo. È sopravvivenza emotiva.

È la differenza tra chi sa nuotare e chi annega cercando di salvare tutti. È la lucidità di chi ha capito che l’empatia vera nasce dalla chiarezza, non dal sacrificio. Che l’amore autentico è possibile solo quando non perdi mai completamente di vista chi sei tu, cosa senti tu, cosa meriti tu.

Perché la comprensione non dovrebbe mai essere una resa. Non dovrebbe mai costarti la tua identità, i tuoi valori, la tua pace. Non dovrebbe mai farti dimenticare che anche tu hai il diritto di esistere, di volere, di dire no.

E allora sì, continuiamo a metterci nei panni degli altri. Ma ricordiamoci sempre di controllare che ci stiano bene, che non ci facciano male, che non ci rubino il respiro. Ricordiamoci che non tutti i vestiti sono della nostra taglia, e che non è mai, mai sano dimenticare la propria misura.

Perché l’empatia più bella del mondo è quella che riesci a dare rimanendo integra. Quella che ti permette di amare gli altri senza smettere di amare te stessa.

E se qualcuno ti dice che questo non è abbastanza generoso, che dovresti dare di più, sacrificare di più, sparire di più… beh, forse è il momento di smettere di ascoltarlo.

La tua taglia conta. La tua voce conta. Tu conti.

Anche quando stai salvando il mondo.

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