Crescere fa male. È faticoso, disordinato, scomodo, spesso proprio sgradevole.
Non è un bel post da Instagram, non è un tramonto col sottofondo perfetto, non è una frase ispirazionale che leggi distrattamente mentre fai colazione.
È la parte meno glamour della vita, quella che spesso non condividi con nessuno, perché non è “carina”, perché ti fa sentire vulnerabile, perché sembra un groviglio di sensazioni troppo brutte e confuse per essere mostrate.
Eppure, crescere è proprio questo: permettersi di stare in mezzo al caos delle proprie emozioni, guardarle tutte in faccia, senza scappare. Significa stare nel dolore, nel disgusto, nella rabbia, persino nella tristezza, fino a quando non diventano sensazioni familiari, fino a quando non impari a riconoscerle, a chiamarle per nome, ad accettarle come parte di te.
E più le provi, più impari a gestirle. Non smettono di essere dolorose, non smettono di farti paura, ma ogni volta fanno un po’ meno paura. Ogni volta diventano più chiare, meno insopportabili, più parte del tuo essere umano.
Perché c’è qualcosa di potente nel capire che ogni emozione
anche quella più oscura, anche quella più devastante
è lì per insegnarti qualcosa su di te, sulla vita, sulle relazioni, sull’animo umano. E ogni volta che attraversi queste emozioni difficili, acquisti una piccola, preziosissima consapevolezza in più.
Oggi sento una gratitudine enorme per il dolore, per la rabbia, per la delusione, per tutto quello che mi ha ferita. Non perché sono masochista, ma perché ogni volta che ho provato quelle cose, ogni volta che non sono scappata e le ho attraversate fino in fondo, ho imparato qualcosa di me che prima non sapevo.
Mai avrei pensato che avrei potuto sentirmi grata per qualcosa che fa male. E invece, guardandomi allo specchio, riconosco che proprio quei momenti mi hanno resa la persona lucida, consapevole e coraggiosa che oggi sono fiera di essere.
Perché forse crescere non è altro che questo: farsi spazio dentro, anche quando fa male, e ringraziare tutto quello che trovi in quello spazio disordinato all’altezza dello stomaco, senza distinzioni.
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