Quante volte ho sentito gente urlarsi addosso:
“Tu mi hai illusa!”
“Tu mi hai illuso!”
Come se fosse un’accusa.
Come se l’illusione fosse sempre e solo colpa di qualcun altro.
Ma l’illusione, a ben vedere, non è riconducibile soltanto all’arte di ingannare.
È una specie di inciampo mentale.
Un meccanismo per cui nei gesti leggi quello che vuoi leggere,
nelle parole senti quello che hai bisogno di sentire,
e nei silenzi… ci metti il resto.
Illudersi è un atto creativo.
È una proiezione.
È dipingere un murales bellissimo su un muro che in realtà cade a pezzi.
È una magia. Un disegno su un cumulo di macerie.
E allora forse dovremmo imparare a dire,
tu non mi hai illusa.
tu non mi hai illuso.
Al massimo mi hai lasciato fare.
Non mi hai trattenuta o trattenuto quando costruivo castelli.
Non mi hai avvertita o avvertito quando posavo fondamenta sulla sabbia.
ma anche se non l’hai fatto
è successo comunque
è successo che mi sono disillusa
è successo che ti sei dilluso
E la disillusione,
che ha tutta l’aria di una parola triste,
è in realtà un sollievo colossale.
Un respiro intero che non sapevi di trattenere.
È libertà.
Perché in quel momento preciso in cui smetti di crederci,
il mondo ti si apre come una finestra spalancata dopo mesi di buio.
E vedi.
E vedi tutte le cose che prima non potevi afferrare
perché le mani erano impegnate a stringere le catene dell’illusione.
E allora sì:
evviva.
Evviva i disillusi.
Evviva chi smette di credere a ciò che voleva,
per poter finalmente abbracciare ciò che è.
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